Dopo gli studi sistematici sul pittore, vale a dire la mostra curata nel 1984 e la monografia realizzata nel 2007, a Eugenio Scomparini ci si può accostare senza scivolare in apologie o divinizzazioni, come è stato fatto per un pittore capo-scuola quale egli effettivamente fu a Trieste nel passaggio tra il XIX e il XX secolo. Certamente la grande novità introdotta nella pittura triestina da Scomparini fu un neo-settecentismo mutuato dall’ambito veneziano e dalla poetica di Fortuny a Roma e tali esiti (condivisi dal fraterno amico Antonio Lonza), oltre a distinguerlo immediatamente in termini formali dai colleghi per una pittura sfarfallante, sono ben visibili nelle opere presenti nelle collezioni della Fondazione. Non è un caso che la prima opera, in ordine cronologico, sia un’allegoria della Giustizia, dal tono tutto tiepolesco e che, con ogni probabilità è un bozzetto per un’impresa pittorica più vasta, collocabile ai primi anni Ottanta dell’Ottocento. Sempre legati a soffitti tiepoleschi e invenzioni a balaustra, in questo caso per il bel palazzo Scuglievich di Trieste, sono le due piccole tele preparatorie, raffiguranti rispettivamente l’Allegoria del Canto e l’Allegoria della Musica; qui Scomparini dimostra attenzione al contesto architettonico e al maggior coinvolgimento da parte dell’osservatore, che viene idealmente accolto dalle figure sistemate vertiginosamente sul parapetto. Di ben altra importanza sono il bozzetto e la grandiosa tela per il Caffé alla Stazione, impresa del 1897; il piccolo bozzetto è già suddiviso da Scomparini con i tre comparti (come fosse un altare con le portelle laterali); al centro l’Industria, che egli realizzerà con alcune piccole varianti, mentre ai lati i dipinti allegorici di Barison e Lonza. Nell’importante decorazione (salutata con enfasi nelle pagine del Piccolo il 27 settembre 1897) troveranno posto anche i giovani Guido Grimani e Giuseppe Pogna. La grande tela dell’Industria è una summa dell’opera di Scomparini, dove il maturo maestro mescola, con abilità ed una punta di furbizia, il suo bagaglio di pittore-decoratore con temi moderni; il risultato è di certo la migliore composizione del pittore, capace di far coesistere i due lati della stessa medaglia: uno fortemente realistico, quello inferiore, ed uno tutto tiepolesco, quello superiore. Il bozzetto raffigurante San Giovanni è opera da accostare alle decorazioni sacre di Scomparini; probabilmente destinato al progetto per affrescare la facciata della chiesa dell’ex Frenocomio, che vedrà impegnati alcuni allievi di sicuro talento, come Napoleone Cozzi. Siamo ormai alla fine del percorso esistenziale di Scomparini, e l’artista partecipa al concorso più importante nella Trieste pre-bellica, vale a dire la decorazione della sede centrale della Cassa di Risparmio; correva l’anno 1912. Il concorso vede premiato Giuseppe Barison, ma a Scomparini e il giovane Cambon vengono affidate altre due tele. Il vecchio pittore sottopone dapprima il bozzetto dell’Idealità di saggezza, con evidenti richiami non solo a Tiepolo ma, come giustamente rilevato da De Grassi, all’ormai ineludibile – nel campo decorativistico – Giulio Aristide Sartorio. Quest’idea viene abbandonata in favore dell’Edilizia, ultimo impegnativo lavoro dello Scomparini (la Fondazione possiede pure un disegno della parca Lachesi) , che ancora una volta guarda indietro, a schemi che nobilitino la composizione nel suo insieme; ormai i tempi dall’Industria per il Caffé alla Stazione sono lontanissimi e a lui viene naturale rivolgersi ad una pittura monumentale con richiami addiruttura al gruppo di Dedalo di Antonio Canova, segno evidente d’un pittore tutto ottocentesco per sensibilità e formazione.
Eugenio Scomparini
Decorazione del "Caffé alla Stazione" (Bozzetto)
Olio su cartone, cm 38 x 50