Da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo
“Vestiva un’ampia veste rossa, chiusa fino al mento, nella quale il suo povero corpicciuolo si perdeva. C’era in lei qualcosa di molto casto e, per quegli occhi, qualche cosa di molto severo. Non seppi chiarire del tutto i miei sentimenti, ma davvero pensai mi stesse accanto una donna che assomigliava a quell’Ada che io avevo amata.”
Mettendo insieme i dipinti di Mario Lannes presenti al Museo Revoltella con quelli di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste, potremmo ripercorrere in toto la parabola artistica del pittore, tra i più refrattari a una giusta messa a fuoco critica. Umbro Apollonio salutava così il Kimono rosa, esposto alla XII Sindacale di Trieste del 1938 nelle pagine di Emporium: “Tra gli altri pittori ha modo di spiccare Mario Lannes, che, in parte sulla falsariga di Renoir, ha fermentato la sua materia pittorica togliendole un peso non indifferente di scorie fumose che proprio, con parola volgare, sporcavano i suoi lavori”. Un pittore, in realtà, negli anni Venti ben diverso da questa virata neo-impressionista alla Renoir; basterà guardare all’Autoritratto del 1929 (Civico Museo Revoltella), costruito levigando la forma, in sintonia con le poetiche del movimento di Novecento italiano e maturato durante gli anni della formazione all’Accademia di Venezia sotto la guida di Augusto Sezanne. Se ne accorse, di questo cambiamento involutivo nell’accezione modernista, un critico come Manlio Malabotta il quale, scrivendo per Il Popolo di Trieste della mostra allestita al Salone Michelazzi del 1930, notava da parte di Lannes “un ritorno alla natura”. Il pittore è tra i fautori e protagonisti delle Sindacali triestine di quegli anni, tanto che alla XIII edizione del 1939 espone La Lettura, ormai immerso in un revival ottocentesco, con Renoir faro ineludibile. Il dipinto viene salutato con entusiasmo in varie riviste, proprio perché declinazione esatta, anche in termini materici, dell’amato (per il pubblico locale) impressionismo. Ben diversa dall’accoglienza a lui riservata pochi anni prima, alla Sindacale del 1935, quando Arduino Berlam considera una sua opera “non ancora matura” per essere acquistata dal museo Revoltella; in un clima di sostanziale retroguardia, era evidente che Lannes dovesse cambiare registro. Lo sbocco quasi obbligato per un linguaggio artistico che volga al naturale è il paesaggio, in Lannes presente anche in fasi molto più avanzate della sua produzione. Già accanto alla Lettura, in quel 1939, egli presentò due paesaggi che potremmo tranquillamente sostituire con il Paesaggio carsico del 1953, di quasi quindici anni dopo, per intendere gli esiti rimasti inalterati e che può essere tranquillamente accostato al Paesaggio entrato nel 1955 al Museo Revoltella. Così altri paesaggi della collezione ci informano la strada intrapresa da Lannes, che già nelle pagine di Emporium del 1942 non otteneva più gli esaltanti commenti di qualche anno prima; leggiamo infatti: “Mario Lannes si attarda in una pittura eloquente e grave cui manca sempre qualche scatto per definirsi”. Egli alterna paesaggi carsici con anfratti boschivi che giungono sino agli anni Settanta, passando da un linguaggio cromatico filamentoso e ricco a una forma più compatta e consistente. Tuttavia i paesaggi presenti nella collezione coprono l’arco produttivo che va dalla fine degli anni Trenta sino ai Cinquanta, quando Lannes vede la sua ricerca avanzare parallela con quell’impressionismo locale di Bergagna o Rossini, solo per citarne due. Di notevole interesse, poiché si discosta da questa serie, è lo scorcio sulle rive della città, di solitaria poesia, che idealmente congeda il pittore da una stagione, quella delle Sindacali, che pagherà carissima, venendo emarginato dai colleghi che vedevano in lui un pittore strettamente legato agli anni del regime.