“Cesare Sofianopulo, pittore, poeta, traduttore, solerte indagatore di civiche vicende, ripropone in termini di una più precisa configurazione spirituale, quel prototipo di «homo tergestinus» in cui amano consapevolmente riconoscersi molti abitanti della città adriatica” scriveva Bianca Maria Favetta, alla quale spetta il primo importante lavoro monografico sull’artista, edito nel 1973 per volere dell’allora Cassa di Risparmio di Trieste.
Non è un caso che all’epoca si avvallò la pubblicazione, quasi una sorta di dichiarazione d’intenti, visto che di lì a poco nelle collezioni entrò un autentico capolavoro come La Malata, opera indiscussa per qualità della prima fase dell’eccentrico Sofianopulo. Eppure, la Fondazione conserva non solo quel dipinto, ma altri lavori sfuggiti anche successivamente ad una catalogazione “a tappeto”. Cronologicamente, infatti, il primo lavoro rintracciabile è il Ritratto di Mary, vale a dire la sorella del pittore, Maria Assunta, alla quale egli fu legatissimo, specie nel periodo della formazione.
Nonostante una prima bocciatura al concorso d’ammissione, che lo portò a Parigi all’Academie Julian divenendo amico fraterno di Lipschitz e Modigliani (1911-12), Sofianopulo non si perse d’animo e si ripresentò al cospetto del grande maestro monacense sul finire del 1912, questa volta con tutt’altro esito.
Allineato ad un’idea di ritorno all’ordine, di pittura intesa come riappropriazione dei mezzi tradizionali e di recupero della nobile arte italiana del passato, realizza Spalato, di tono metafisico, non a caso su un supporto come la tavola di legno dove il didascalico ha la meglio sul pittorico: nel registro inferiore posiziona la sfinge dinanzi al leone separati dall’Orsa maggiore e vi pone le varie iscrizioni, in una sorta di contrapposizione (ma unite dal Leone di Venezia) tra Spalato e Sebenico; “Spalato/Palazzo di Diocleziano/Peristilio/Sfinge – Sebenico/Leone di Terraferma/Anno MDCXLVI”. Di ascendenza simbolista – pittura da sempre amata – è la tavola intitolata l’Altra Sponda, dove Sofianopulo sistema in un evidente dipinto-manifesto l’allegoria della Dalmazia separata dalle “sorelle” Trieste, Gorizia, Trento e Istria.
Al di là del fine ultimo, le qualità del dipinto sono da evidenziare poiché Sofianopulo non recupera genericamente una pittura passatista, ma guarda ad esempi pre-raffaelliti con coscienza.
Per questo motivo, il dipinto L’altra sponda di Cesare Sofianopulo viene esposto per richiamare la separazione delle città redente di Trieste, Gorizia, Trento e dell’Istria (rappresentate dal gruppo allegorico a sinistra dell’ara) dalla città di Spalato, simboleggiata dalla figura di dolente, ai cui piedi giace lo stemma velato della capitale dalmata.