Da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo
“Precisamente agli albori di quella primavera, io dovetti accettare di andar a passeggiare con Carla al Giardino Pubblico. Mi sembrava una grave compromissione, ma Carla desiderava tanto di camminare al braccio mio al sole, che finii col compiacerla.”
Forse il più autenticamente parigino degli artisti triestini del XX secolo, Levier passa da un linguaggio postimpressionista ad un fauvismo dichiarato tra il 1903 ed il 1910, anni nei quali risiede al numero 83 di Boulevard Montparnasse (per poi passare in Rue Jacob) ed espone accanto ai Fauves al Salon d’Automne nel 1905, oltre a stringere amicizia con Auguste Rodin. A questo periodo appartiene il Caffé all’aperto, composto, o meglio scomposto in sole giustapposizioni di colore con una chiara derivazione dagli schemi compositivi impressionisti di Renoir e con la forte cifra bidimensionale data dal teatrino sullo sfondo, concepito a sua volta come un dipinto. Fase alquanto felice, questa parigina di Levier, che già nell’opera del 1928 circa, Pesca sul lago, lo vede ormai fagocitato in una cifra stilistica più compassata e uniformata da pittore periferico; non a caso egli è a Trieste dal 1922 rimanendovi stabilmente e proponendo il suo linguaggio a mostre personali e collettive anche internazionali, ma senza spostarsi dalla città giuliana.
Di contro, un’impennata alla Derain e, per certa sintesi paesaggistica, alla Dufy, la ritroviamo nei Cavalieri nel parco (I cavalli) del 1930 circa, inaspettatamente d’un ritorno a quella gioia francese di “un viavai divertito”, ricco in cromie e in un grafismo continuamente in divenire. Aprono una nuova primavera per il maturo pittore triestino composizioni come questa, che chiuderà la sua parabola artistica con acquerelli negli anni ’50 di impronta matissiana sorprendenti e di sognante colorismo.