Da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo
“Ebbi un sogno bizzarro: non solo baciavo il collo di Carla, ma lo mangiavo. Era però un collo fatto in modo che le ferite ch’io le infliggevo con rabbiosa voluttà non sanguinavano, e il collo restava perciò sempre coperto dalla sua bianca pelle e inalterato nella sua forma lievemente arcuata.”
Artista di intelligenza acuta, grande collezionista di stampe giapponesi e allievo diretto di Von Stuck a Monaco, Orell è di certo una delle figure più affascinanti nella Trieste dei primi del XX secolo. L’Allegoria di impronta secessionista, vicina ad esiti non solo monacensi ma pure viennesi, raggruppa caratteri stilistici che ritroveremo costantemente nella produzione di Orell; una forte bidimensionalità dovuta anche a certe sollecitazioni whistleriane, elementi quali musica e letteratura intrecciati naturalmente poiché parte integrante nella vita dell’artista (vale la pena ricordare che egli fu personaggio centrale nei cenacoli letterari triestini come ricordava il poeta Virgilio Giotti e cugino del violinista Guido Pascolati allora piuttosto celebre) e un simbolismo di natura decadente di derivazione dannunziana. Faceva anche di un dandysmo sopra le righe il proprio standard di vita mescolandolo ad un irrequieto girovagare la penisola, come ricordano le fonti. Proprio da uno dei vari soggiorni, quello a Bergamo, nasce il ritratto del Navarca, al secolo il signor Luigi Cigni, dove paiono evidenti più che richiami alla realtà, rimandi ad un mondo strettamente dannunziano e dove il bonario e pacioso volto del protagonista stride vistosamente rispetto all’ufficiale berretto frigio, qui portato in guisa da bevitore più che da comandante di una nave. Di ben altra fattura è il ritratto del 1937 raffigurante una donna dal portamento aristocratico; pure la tecnica di Orell si piega all’effigiata, delineata da un pressoché inesistente cromatismo se si eccettua quel verde appena abbozzato della veste, caratterizzata da un’acconciatura curata e da un viso levigato che certo fa tornare l’artista indietro sino all’ottocentesca Margherita Gauthier. E’ proprio a ritroso va la tavola di Trieste nell’Ottocento, qui vicina agli esiti dell’amico Glauco Cambon con il quale Orell condivise per un periodo i favori della città giuliana nel campo del manifesto, sempre reso con efficacia e furbizia nel mescolare decorativismo a simbolismo.