Da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo
“Fui sincero come in confessione: La donna a me non piaceva intera, ma… a pezzi! Di tutte amavo i piedini se ben calzati, di molte il collo esile oppure anche poderoso e il seno se lieve, lieve. E continuavo nell’enumerazione di parti anatomiche femminili, ma il dottore m’interruppe: – Queste parti fanno la donna intera.”
Anche del pittore di origini greche – il padre Alessandro Riettis era un commerciante di Zante di fede ebraica – la Fondazione conserva un nutrito gruppo di opere che ne percorrono la parabola artistica ed esistenziale. Soprattutto disegni, tecnica nella quale insieme al pastello, Arturo Rietti eccelleva. Il ritratto di donna del 1895 che Maurizio Lorber ipotizza possa trattarsi della moglie, Irene Riva, all’epoca la modella dal pittore, arriva nel momento più significativo del pastellista, ovvero quando dallo stile figurativo tutto di matrice viennese e monacense egli si lascia gradualmente attrarre dalla scuola lombarda. Non è un caso che il disegno sia dedicato “Al nuovo amico Garzolini, Genova” che lascia presagire una sempre più lontana frequentazione dal mercato triestino. In effetti, per Rietti, la partita decisiva si gioca proprio a cavallo dei due secoli e la freschezza del ritratto, ben visibile nella serie di disegni presenti nella collezione, ha in questi anni (sino al ’20) i suoi esiti indubbiamente migliori. Colpiscono, tra tutti gli esemplari presenti, i quattordici disegni con i volti maschili, i più vari, colti con quella sua personale resa “dal segno rapido e sicuro”, precetto indispensabile, come scrive Rietti stesso in uno dei suoi taccuini. L’Autoritratto, autentica ossessione di rembrandtiana memoria, scandisce ogni momento nella vita di Rietti in una sorta di diario e qui, siamo nel 1925, ancora con esiti freschi e diretti, anche nella pennellata “spadaccina” che diverrà più pastosa e cupa col procedere degli anni. Estremamente interessante è il ritratto di Contadino, poiché Rietti, è bene ricordare, fu all’inizio della sua carriera quando soggiornava dal fratello Riccardo a Colle Val d’Elsa in Toscana, ritrattista di gente umile raffigurata con una forte inclinazione realista. Tipico esempio del suo ritrarre è invece la donna col cappellino, che arriva dopo una innumerevole serie di amici pittori che hanno lasciato sul triestino il proprio segno: Pompeo Mariani, Antonio Mancini, Ambrogio Alciati provocano su di lui evidenti ripercussioni formali. All’ultima ed estrema produzione si riconduce la Bambola giapponese, personalmente appartenuta al pittore; faceva parte di una serie di statue lignee che l’ambasciatore del Giappone a Ginevra, Nitobe, regalò personalmente a Rietti nel 1923.