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La Collezione d’Arte
Carlo Wostry
Danzatrice giapponese
Olio su tela, cm 135 x 122

 

Ricostruire la vita della pittrice Maria Lupieri potrebbe portare ad uno studio monografico di primaria importanza nel clima culturale vissuto nella Trieste della prima metà del Novecento. Figura centrale per comprendere lo snodo fra una vecchia generazione intellettuale ed artistica  (fu in contatto con D’Annunzio, spronata dai pittori Ugo Flumiani e Carlo Wostry) e quella più giovane (amica di Arturo Nathan, Leonor Fini, Marcello Mascherini, Magda Springher oltre ad essere in rapporti cordiali con Virgilio Giotti, Umberto Saba e Anita Pittoni), di Maria Lupieri la Fondazione possiede un nucleo di opere risalenti soprattutto alla metà degli anni Cinquanta e che dimostrano quanto l’irrequietezza (pure nella vita, contraddistinta da continui spostamenti) e il bisogno di esprimersi con diverse tecniche, abbia portato pure a disparati esiti stilistici. Seguendo un ordine cronologico, il disegno raffigurante Casa di Via Rigutti a Trieste è del 1942, anno mirabile nella carriera di Maria che partecipa con un gran numero di opere sia alla Permanente di Milano che alla Quadriennale romana; un forte senso scenografico e un gusto metafisico pervadono il disegno, il tutto filtrato dalle amatissime letture di Franz Kafka, che la porteranno ad accostarsi a pratiche esoteriche. La Piazza Venezia a Trieste del 1954 arriva nell’ormai fase allucinatoria dove l’evidente sensazione di horror vacui divampa in un segno vibrante e spettrale; l’uso della china, tecnica che Lupieri domava alla perfezione, amplifica tali effetti emotivi tanto che il grande foglio del 1955 titolato Milano – Costruzioni eseguito con l’aggiunta di pastelli colorati anziché ricercare un’armonia, vuole premere il tasto sull’asfissia urbanistica dominata da un monstrum, la gru. Stesso anno per i due disegni raffiguranti Muggia; qui le suggestioni provate nei confronti del concittadino “francese” Adolfo Levier, morto nel 1953, e Raoul Dufy, si fanno sentire e non casualmente, avendo viaggiato verso Parigi la prima volta nel 1953 e per esservi ritornata nel 1954 in occasione della sua personale allestita alla Galleria Saint Benôit. Pure la tempera Citta vecchia muove da un’apparente precisione formale verso un’atmosfera carica d’angoscia, resa ancor più manifesta da una scelta pressoché monocroma d’insieme contrastata da bianchi eccessivi. Arriva nel 1957, poco prima della prematura morte, un’opera che pare mettere ordine in una cavalcata allucinatoria ma anche di continua ricerca, tale è Narcisi gialli. Realizzati all’acquerello, i narcisi creano un effetto di potente atmosfera onirica, dove il giallo cosparge pure il vaso, di soluzione dorata e di sollievo da continui momenti di irrequieta ricerca pittorica ed esistenziale.

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