Da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo
“Da un anno non avevo scritto una parola, in questo come in tutto il resto obbediente alle prescrizioni del dottore il quale asseriva che durante la cura dovevo raccogliermi solo accanto a lui perché un raccoglimento da lui non sorvegliato avrebbe rafforzati i freni che impedivano la mia sincerità, il mio abbandono. Ma ora mi trovo squilibrato e malato più che mai e, scrivendo, credo che mi netterò più facilmente del male che la cura m’ha fatto. “
Triestino di nascita, Gianni Russian si forma presso l’Istituto d’Arte ai Carmini di Venezia dove completa i propri studi nel 1943 e ottiene l’abilitazione all’insegnamento artistico. Dal 1943 al 1945 dopo la cattura da parte delle truppe tedesche, viene internato in un campo di prigionia in Germania. Per tale triste vicenda, solo a partire dal 1946 riesce a dare avvio alla propria carriera artistica. Sarà in questi anni l’attività di decoratore, specie nell’arredamento navale, a dare a Russian una propria definizione stilistica che lo porterà ad esiti felici specie sul finire degli anni Cinquanta, facendo presagire una sperimentazione verso esiti materici. Su tali premesse, realizza nel 1960 l’opera più importante di questa fase, vale a dire Sintesi della meccanizzazione, purtroppo ultimo lavoro d’un certo impegno, essendo l’artista scomparso precocemente a causa d’una grave malattia nel 1962. Un’opera polimaterica dalla resa lucida, di grande impatto visivo, mecolando il proprio bagaglio da decoratore d’interni con un pittoricismo cupo e inquietante, dove il tema meccanicistico altro non è che una metafora della società tecnologica. Sintesi della meccanizzazione si affianca, per quanto riguarda le opere di Russian custodite dalla Fondazione, alla Macchina da scrivere, una delle chine acquerellate su carta del 1949, raffiguranti oggetti tecnologici come una macchina per cucire o un telefono. Sono opere grafiche che vedono Russian usare la tecnica della cera per non far assorbire la china dalla carta, dando un effetto, come scrive Elisa Prelli, che dell’artista si è occupata largamente, “a graffito”, quindi fortemente suggestivo.