Guglielmo Grubissa nacque a Pola nel 1908 e si trasferì a Trieste nel 1945, reduce da un duro periodo di prigionia in Germania.
Nel 1952 allestì un’importante mostra personale alla Galleria Rossoni, in occasione della quale conobbe il critico Decio Gioseffi, che rimase uno dei principali sostenitori del pittore sulle pagine del “Giornale di Trieste” e de “Il Piccolo” nel corso degli anni Cinquanta.
Nato come acquarellista, Grubissa passò gradualmente alla tecnica ad olio, di cui si espongono qui due importanti esempi: Strano Carso e Alberi e Prati a Basovizza. Dal 1954 il pittore aveva incominciato a esplorare il paesaggio montano e l’entroterra; nelle opere qui presentate si può apprezzare il lavorìo continuo del pennello sulla tavola per rendere le asperità e i rilievi del territorio.
Ma perché intitolare un dipinto Strano carso? Cosa c’è di strano? Forse l’assenza delle persone, forse il controluce che pare minacciare un improvviso rannuvolamento, o forse la presenza inquietante e un po’ misteriosa, sulla sinistra, di un cespuglio riarso?
Ben differente l’altro dipinto, Alberi e prati a Basovizza: è un olio su tavola che ha la freschezza e l’immediatezza del motivo colto dal vero. Qui si può rintracciare l’origine di Grubissa come pittore acquarellista, nell’accostamento dei toni di colore e nella resa atmosferica della veduta di campagna. Questa sua particolare produzione venne resa nota nella mostra Trieste vecchia e nuova: documentario pittorico di 100 acquarelli di Guglielmo Grubissa tenuta presso la Galleria d’arte Trieste, nell’agosto 1946.