Tra i maggiori cantori del mare di Trieste, insieme al collega Guido Grimani, nella prima metà del Novecento, Ugo Flumiani si presenta nelle opere della Fondazione con una tela singolare che apre a considerazioni diverse rispetto alla frettolosa etichetta di “marinista” a lui cucita addosso da parte della critica. Stiamo parlando del dipinto raffigurante lo Scultore nello studio, l’amico Giovanni Mayer, che si colloca nello stesso momento in cui un altro grande pittore triestino prematuramente scomparso, vale a dire Umberto Veruda, realizzava pure il ritratto dello scultore al lavoro. Siamo proprio allo scoccare del secolo XX e Flumiani, amico di Veruda e da questi ritratto, dimostra l’interesse verso un certo clima pittorico importato a Trieste dal collega, che aveva attinto dalla lezione impressionista monacense quel fare spadaccino ma non più sfarfallante fine a sé stesso e intriso di neosettecentismo, come aveva fatto la vecchia generazione (Scomparini e Lonza). Il dipinto con Mayer, scelto quale soggetto, viene dunque realizzato in una comunanza di intenti con Veruda (oltre alla condivisione d’uno stesso studio in via degli Artisti) e perciò vede un Flumiani aggiornato a cavallo dei due secoli. Non è un caso che la sua fisionomia compaia fra le caricature di Wostry e in due ritratti realizzati da Veruda e abbia su di sé gli sguardi dei colleghi più agguerriti che ne vedono un amico sincero ma soprattutto un pittore che porta stimoli nuovi al Circolo Artistico di Trieste.
Pure eccentrica rispetto alle consuete realizzazioni mariniste, è la suggestiva San Giusto, dagli impasti terrosi e da una trattazione tonale delle cromie, dove le macchiette che popolano il quadro ben si confondono, con evidenti richiami alla vicina pittura veneta coeva. Appartenenti, invece, al suo noto bagaglio tecnico, sono le opere che vedono per protagonista l’acqua; in particolare vanno segnalate le due grandi tele, realizzate negli anni della maturità. I bragozzi al largo, risentono della competizione con il coetaneo Grimani ma pure della concorrenza dell’attempato e abile Giuseppe Barison, che volgeva il suo interesse soprattutto negli anni Venti al genere della marina e sono condotti con virtuosismo, ma senza dimenticare il dato luministico che per Flumiani è imprescindibile. In questo senso, la grandiosa e monumentale tela con un ampio panorama di Trieste realizzata in pieni anni Trenta, nonostante un evidente effetto da cartolina, si riscatta attraverso un cielo occupato da possenti nubi cariche di rosa e venature violacee e, soprattutto, dalla frustata di luce che percorre la città in primo piano.